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Fabio Panetta
Member of the ECB's Executive Board
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Intervista con Le Monde

Intervista a Fabio Panetta, Membro del Comitato esecutivo della BCE, condotta da Eric Albert

2 giugno 2023

L’obiettivo della BCE è mantenere l’inflazione al 2 per cento. Attualmente è al 6,17 per cento. Ci si deve preoccupare?

Non c’è dubbio che il 6,1 per cento sia troppo alto, ma i cittadini non devono avere timori. Riporteremo l’inflazione al 2 per cento. In meno di un anno abbiamo alzato i tassi d’interesse con decisione, dal -0,5 per cento al 3,25 per cento. E ora l’inflazione è in calo, come confermato dai dati pubblicati ieri.

Per effetto del rialzo dei tassi, le banche stanno aumentando il costo del credito e riducendo l’offerta di prestiti. Ciò si riflette sull’economia reale, influenzando le decisioni d’investimento delle imprese e la domanda di mutui immobiliari da parte delle famiglie. Ma la politica monetaria opera tipicamente con uno sfasamento temporale. Ci vogliono diversi trimestri prima che i suoi effetti siano pienamente trasmessi all’economia reale e quindi all’inflazione.

Ma quanto tempo ci vorrà prima che l’inflazione torni a livelli ragionevoli, ad esempio al 3 per cento?

Le nostre proiezioni economiche di marzo indicano che l’inflazione si collocherà intorno al 3 per cento all’inizio del prossimo anno e intorno al 2 per cento nel 2025. Ma questo scenario ovviamente non tiene conto di eventuali nuovi shock.

È dall’autunno del 2021 che la BCE afferma che l’inflazione tornerà presto al 2 per cento. Perché gli europei dovrebbero credervi ora?

Gli investitori sanno bene che l’inflazione è aumentata a causa di una serie di shock globali negativi che sfuggono al controllo della politica monetaria. E sanno anche che interverremo finché non vedremo la dinamica dei prezzi convergere saldamente verso il nostro obiettivo del 2 per cento, e si aspettano che essa torni a quel livello.

Finora non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, ma per ragioni diverse da quelle suggerite da coloro che nel 2021 prefiguravano un forte aumento dell’inflazione. Nessuno aveva previsto la gravità delle strozzature emerse nell’offerta globale di beni e servizi, l’invasione dell’Ucraina o la manipolazione delle forniture di gas e petrolio da parte della Russia. Senza questi eventi imprevedibili la situazione economica sarebbe completamente diversa e l’inflazione sarebbe molto più bassa.

Ma davvero l’inflazione riflette solo la guerra e la pandemia? Nel 2020-21 i governi dell’area dell’euro avevano accumulato un deficit molto elevato. Quel massiccio stimolo è stato possibile grazie agli acquisti di ingenti quantità di titoli da parte della BCE. Con il senno di poi, è stato un errore? Avete allentato troppo la politica monetaria?

A volte sembriamo dimenticare troppo in fretta che dopo la pandemia l’intervento congiunto della BCE e dei governi ha salvato l’area dell’euro da una depressione economica. Nel 2020 l’economia europea ha subìto una contrazione del 6 per cento. Proviamo a pensare a cosa sarebbe successo se in quel momento non avessimo agito con decisione: vi era un forte rischio di cadere in una prolungata fase di recessione economica e di deflazione, che avrebbe potuto degenerare in una vera e propria depressione economica. E la successiva ripresa produttiva ha contribuito a contenere il deficit e il debito in rapporto al PIL. L’inflazione è stata in gran parte causata dalle strozzature di offerta e dalla guerra, non dalla politica monetaria.

Attualmente stiamo affrontando le conseguenze inflazionistiche di quegli shock e le nostre politiche saranno giudicate in base al successo nel ridurre la dinamica dei prezzi. A questo proposito, come abbiamo dimostrato in passato, siamo pienamente determinati a raggiungere il nostro obiettivo del 2 per cento.

L’inflazione è ancora alimentata dagli shock dell’offerta? L’inflazione nel settore dei servizi alta, è pari al 5,0 per cento, e l’inflazione di fondo (ossia l’inflazione depurata dei prezzi dei prodotti energetici e alimentari) è al 5,3 per cento, il che è più probabilmente dovuto alla domanda.

Non credo che il nostro problema principale sia la forza della domanda interna. Nell’ultimo trimestre del 2022 l’area dell’euro ha registrato un calo dei consumi e degli investimenti. È soprattutto la domanda estera a sostenere la crescita. I rischi principali per la stabilità dei prezzi derivano dalla forza del mercato del lavoro e dalle strategie di profitto delle imprese, anche se finora non sono emersi chiari segnali di una spirale prezzi-salari.

L’inflazione di fondo non rappresenta con accuratezza il costo del paniere dei consumi delle famiglie, soprattutto di quelle con basso reddito. E soprattutto, come ho già detto in passato, non è un indicatore affidabile dell’andamento futuro dell’inflazione complessiva. Infatti, l’inflazione di fondo tende a seguire – non ad anticipare – l’inflazione complessiva. E così come è aumentata con ritardo nella fase di brusco rincaro dell’energia, essa sta ora scendendo con lentezza dopo il calo dei prezzi dei prodotti energetici. Ma possiamo aspettarci che alla fine scenda anch’essa. I dati pubblicati ieri sono un segnale incoraggiante in questa direzione.

La crescita nell’area dell’euro è stata di appena lo 0,1 per cento nel primo trimestre. Non c’è il rischio che l’aumento dei tassi di interesse soffochi quel poco di crescita che c’è?

Abbiamo aumentato i tassi per evitare che l’inflazione si radicasse nell’economia. La buona notizia è che l’Europa non ha subìto la profonda recessione economica che alcuni avevano previsto, grazie a un calo dei prezzi dell’energia più rapido del previsto e alla spinta della politica fiscale. Ma la nostra stretta monetaria si farà sentire nei prossimi mesi, e non possiamo escludere che la domanda interna continui a essere debole e che questo possa tradursi in una prolungata debolezza dell’attività economica o anche in una recessione tecnica.

Quindi, fino a che punto dovreste continuare ad alzare i tassi di interesse?

Considerando l’eccezionale livello di incertezza economica che abbiamo di fronte, è assai difficile stimare fin dove dovremo spingerci. Le nostre misure sui tassi sono ora decise di volta in volta, a ogni riunione del Consiglio direttivo, in base all’andamento dei dati economici. Non credo sia il momento di alzare i tassi rapidamente: abbiamo compiuto passi significativi in tale direzione. Ho l’impressione che non abbiamo ancora raggiunto la meta finale del nostro ciclo di rialzi, ma che non siamo lontani. Inoltre, mi aspetto che il dibattito politico si sposti presto da “quanto in alto?” a “quanto a lungo?”. C’è un ampio margine di manovra per combattere l’inflazione mantenendo i tassi elevati per il tempo necessario.

Dobbiamo essere determinati ma giudiziosi. Dobbiamo ridurre l’inflazione evitando di arrecare danni inutili all’economia reale.

L’Europa ha subìto una perdita permanente di competitività a causa della guerra? Non ha più accesso al gas russo. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti stanno erogando sussidi molto alti attraverso l’Inflation Reduction Act e i cinesi stanno facendo lo stesso.

Il modello di crescita europeo degli ultimi 20-30 anni sta perdendo forza. Era un modello basato sull’energia a basso costo e sulla delocalizzazione produttiva, in particolare verso la Cina. Era inoltre ampiamente basato sulle esportazioni e sulla compressione della domanda interna, soprattutto in grandi economie. Ma un modello di crescita trainato dalle esportazioni non è adatto a una economia di grandi dimensioni, come quella dell’area dell’euro. Ci espone a rischi eccessivi, soprattutto in fasi di tensioni geopolitiche come quella attuale.

L’area dell’euro è in grado di determinare il proprio destino economico. Dobbiamo ripensare il nostro modello di crescita, adattandolo al nuovo scenario geopolitico. Il vertice europeo di Versailles del marzo 2022 ha segnato un passaggio molto importante, in cui i capi di Stato e di governo hanno riconosciuto la necessità di investire in beni pubblici comuni europei in settori cruciali per la crescita e la competitività, quali l’indipendenza energetica, la transizione ecologica e l’innovazione tecnologica.

Forse, ma i governi che attualmente stanno investendo molto denaro sono gli Stati Uniti e la Cina. Nel frattempo, l’Europa parla ma non sembra muoversi.

Da solo, nessun paese europeo può resistere all’attrazione del mercato statunitense e ai fondi resi disponibili dall’Inflation Reduction Act. È per questo motivo che dobbiamo adottare una strategia pan-europea e utilizzare strumenti fiscali comuni, come abbiamo fatto con il programma NGEU in risposta alla pandemia.

Le nostre politiche fiscali devono rimanere prudenti, ma non dobbiamo scordare la lezione della crisi finanziaria. All’epoca, si pensava di poter porre rimedio al problema dell’elevato indebitamento comprimendo la domanda, quando in realtà ciò che mancava e di cui avevamo bisogno era la crescita. Quello che alla fine ottenemmo fu una caduta degli investimenti pubblici, un crollo della crescita e un innalzamento del rapporto debito/PIL. Non dobbiamo ripetere quegli errori.

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