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Liberiamo il potere delle idee

Intervento di Christine Lagarde, Presidente della BCE, presso la Yale University, New Haven, Stati Uniti

New Haven, Stati Uniti, 22 aprile 2024

È un piacere essere qui oggi.

La Yale Jackson School of Global Affairs richiama alcune delle menti più brillanti di ogni generazione, ne sviluppa i talenti e le ispira a intraprendere carriere straordinarie nella diplomazia e nella politica pubblica.

E non mancano le fonti di ispirazione nel corso degli studi a Yale. Non troppo lontano da qui, custoditi presso la Sterling Memorial Library nel cuore del campus, si trovano gli scritti del primo diplomatico americano, Benjamin Franklin.

Franklin fu una personalità ricca di sfaccettature: ambasciatore in Francia, scienziato, inventore, autore, editore e molto altro ancora, ma soprattutto fu un uomo di idee. Da giovane, quando aveva più o meno l’età di alcuni di voi qui presenti, Franklin comprese il potere delle idee.

Franklin scrisse che tutte le nostre idee, registrate prima dai sensi e impresse nel cervello, aumentano di numero con l’osservazione e l’esperienza, per diventare quindi i soggetti dell’azione dell’anima[1].

Ispirando l’azione, le idee ci possono aiutare a crescere. Può trattarsi di crescita personale; ad esempio, ciò che uno studente apprende gli consentirà di assumere le giuste decisioni nel corso della sua futura carriera. Ma si applica anche a livello della società: le idee sospingono le economie.

Negli ultimi decenni abbiamo incontrato pochi ostacoli al flusso delle idee a livello globale. Le economie avanzate hanno condiviso le proprie tecnologie con le economie emergenti e queste ultime hanno condiviso con noi la possibilità di disporre di fattori produttivi a costi inferiori; questo è il processo che chiamiamo “globalizzazione”.

Tuttavia, negli ultimi anni l’ordine economico globale, come lo conosciamo, è in trasformazione.

Osserviamo che economie un tempo emergenti assumono un ruolo di guida per alcune tecnologie avanzate. E assistiamo anche a un’inversione di tendenza della globalizzazione, che mette a rischio l’accesso alle risorse da cui dipendono le tecnologie avanzate.

In che modo possiamo, quindi, tutti noi prosperare in questo nuovo ordine mondiale?

Come spiegherò nel mio intervento, la radice della nostra prosperità resta la stessa di sempre: la capacità di generare e condividere nuove idee.

Tuttavia, come ci insegna la storia, le idee sono in grado di sospingere la crescita soltanto se prima creiamo le giuste condizioni per consentire loro di realizzare appieno il proprio potenziale, e se ci impegniamo a rimuovere le strozzature che ne ostacolano lo sviluppo.

Questa è la sfida che tutti noi dobbiamo affrontare al momento, per prosperare nel nuovo ordine mondiale. Oggi mi concentrerò sul significato di questa sfida per le nostre economie e in particolare per l’Europa.

Il potere delle idee nella storia

La storia del progresso umano è scandita dalle innovazioni tecnologiche scaturite dalle idee. Ma le idee non si traducono immediatamente in prosperità economica.

Si pensi alla pressa da stampa di Johannes Gutenberg, un dispositivo ingegnoso che combinava prismi metallici per la riproduzione dei caratteri con un inchiostro a base di olio e tecniche usate per la vinificazione[2].

Riducendo i costi e accelerando il processo di produzione dei libri, la pressa da stampa spalancò le porte a una tecnologia di comunicazione che avrebbe rivoluzionato il mondo. Un’edizione originale della Bibbia di Gutenberg è in mostra proprio qui a Yale, nella splendida cornice della Beinecke Rare Book and Manuscript Library.

Ma la pressa da stampa arrivò in tempi in cui i tassi di alfabetizzazione erano ancora estremamente bassi (pari a circa il 9% nella Germania nativa di Gutenberg)[3]. I suoi benefici dipesero, in ultima istanza, dall’incremento dei tassi di alfabetizzazione nel corso dei secoli successivi, a cui contribuì anche la maggiore disponibilità di libri a costi inferiori, che consentì di ridurre la spesa per l’istruzione. I paesi più rapidi nel promuovere l’alfabetizzazione beneficiarono di tassi di crescita economica e del PIL pro capite più elevati; tale correlazione persiste ancor oggi[4].

In secoli più recenti possiamo individuare tre condizioni necessarie affinché le idee possano espletare appieno il proprio potenziale: traduzione, diffusione e ambizione.

Per traduzione si intende la capacità di tradurre le idee in progetti socialmente utili. E la storia ci insegna che tale capacità dipende dalla presenza dei giusti ecosistemi economici in settori chiave quali la finanza e l’offerta di fattori produttivi.

Fino al volgere del XVII secolo, ad esempio, la capacità di finanziare nuove idee fu fortemente limitata dalla presenza di mercati finanziari sottosviluppati. Un fattore contribuì a cambiare i giochi: la nascita della moderna società per azioni a responsabilità limitata intorno a quel periodo[5].

D’un tratto fu possibile attingere a grandi capitali per finanziare imprese audaci, come l’espansione delle rotte marittime globali da est a ovest, che agevolò l’approvvigionamento di fattori produttivi. I paesi che aprirono le porte alle società per azioni mostrarono la tendenza a una crescita più rapida[6].

Se le giuste infrastrutture economiche possono agevolare le idee, è vero anche l’opposto. L’introduzione pionieristica delle ferrovie attraverso tutti gli Stati Uniti si è dimostrò rivoluzionaria, stimolando lo sviluppo dei mercati dei capitali del paese[7].

Tuttavia, affinché le idee siano realmente efficaci a livello macroeconomico, occorre anche la diffusione. Le tecnologie devono diffondersi all’interno di un’economia ed essere ampiamente utilizzate.

La storia suggerisce che un fattore chiave per la diffusione delle idee è la scala, ossia: la possibilità di operare in un mercato ampio e integrato. Operare su vasta scala incoraggia le imprese ad adottare nuove tecnologie, poiché, ampliando la produzione, sarà possibile ridurre i costi per unità di prodotto.

L’esempio più lampante dell’effetto di scala è offerto dagli Stati Uniti. La sua Costituzione creò un’unione fra tredici colonie diverse, ma l’evoluzione economica del paese sarebbe dipesa in ultima istanza da come tale Costituzione, in particolare la clausola sul commercio, sarebbe stata interpretata.

Un momento cruciale fu nel 1824, quando la sentenza della Corte suprema nella causa Gibbons contro Ogden sancì il diritto del Congresso di regolamentare il commercio interstatale e, di fatto, di annullare i monopoli concessi dagli Stati, che rischiavano di frammentare il mercato statunitense.

Tale sentenza contribuì a creare un’economia autenticamente nazionale e consentì agli imprenditori statunitensi di espandere la propria attività e prosperare. Secondo varie stime, il PIL pro capite degli Stati Uniti sarebbe almeno raddoppiato tra il 1800-1820 e il 1820-1840[8].

I molti di questi casi, tuttavia, il cambiamento non si innescò spontaneamente. Avvenne grazie all’ambizione di imprenditori, economisti, giuristi o responsabili delle politiche, al coraggio di superare gli ostacoli al progresso e alla capacità di ispirare gli altri a seguire la propria visione.

Ma la natura di questa ambizione si è sempre evoluta con i tempi.

Nel XIX secolo, a Stati remoti disseminati su tutto il territorio degli Stati Uniti occorrevano imprenditori visionari come Cornelius Vanderbilt, le cui ferrovie contribuirono a unificare l’economia del paese. Tuttavia, poiché i magnati delle ferrovie stabilivano monopoli che minavano il bene pubblico, fu necessaria l’ambizione di leader politici come Theodore Roosevelt per infrangerli e promuovere la concorrenza.

Ciò che libera veramente la crescita è la combinazione di queste tre forze: quando le idee si traducono in innovazioni, le innovazioni si diffondono nella crescita della produttività e vi è l’ambizione sociale necessaria per rimuovere gli ostacoli a tale processo.

Il potere delle idee oggi

Veniamo ora al presente.

Con la crescita delle nostre economie cambia l’importanza relativa delle diverse forze che la determinano[9]. Per i paesi emergenti lontani dalla frontiera tecnologica, sfruttare prima la manodopera e poi il capitale può aiutarli a colmare il divario nello sviluppo economico.

Ma dopo che le economie maturano e diventano avanzate, è perlopiù l’aumento della produttività che sospinge in avanti. E la produttività dipende soprattutto dalle idee.

La maggior parte delle economie avanzate registra, tuttavia, un rallentamento della produttività da qualche tempo. Questo rallentamento ha fomentato, negli anni 2010, un dibattito tra i “tecno-pessimisti”, secondo i quali le idee più innovative erano alle nostre spalle, e i “tecno-ottimisti”, conviti che ci trovavamo all’alba di una nuova rivoluzione tecnologica.

Gli sviluppi degli ultimi anni suggeriscono che le ragioni dell’ottimismo erano più forti. Come all’epoca di Gutenberg, le nuove rivoluzionarie tecnologie come l’intelligenza artificiale (IA) e la robotica stanno per trasformare le nostre società. In base a una ricerca, l’IA generativa potrebbe da sola contribuire per quasi 4.500 miliardi di dollari statunitensi l’anno all’economia globale, un importo pari a circa il 4% del PIL mondiale[10].

La buona notizia per la crescita della produttività mondiale è che osserviamo il fiorire di queste nuove idee nelle principali economie, un retaggio diretto dei legami comuni instaurati durante l’era della globalizzazione. L’Europa, contrariamente a ciò che alcuni potrebbero credere, è in realtà nella posizione migliore per beneficiare di queste idee.

L’Unione europea produce circa un quinto delle pubblicazioni più citate al mondo, dei brevetti e delle ricerche, pur rappresentando meno del 7% della popolazione mondiale[11], e questa attività innovativa investe settori chiave come l’IA e l’apprendimento automatico (machine learning).

Secondo uno studio, l’Europa attinge a un maggior numero di talenti IA rispetto agli Stati Uniti, con oltre 120.000 ruoli attivi nell’IA, e lo scorso anno l’Europa ha inciso per un terzo del capitale iniziale totale investito nell’IA e nell’apprendimento automatico nelle due economie[12].

Inoltre, la nostra regione ha molte imprese innovative in altri settori ad alta tecnologia. Le imprese manifatturiere europee operano spesso alla frontiera tecnologia mondiale, che si tratti della produzione di macchine fotolitografiche per chip avanzati o robotica industriale. Di fatto, la quota dell’Europa nel mercato di questi robot è due volte quella della Cina e più di trenta volte quella degli Stati Uniti[13].

Molte delle imprese europee di maggior successo non sono nemmeno quotate in borsa. Dei 2.700 “campioni nascosti” di tutto il mondo, vale a dire piccole e medie imprese leader mondiali nei mercati di nicchia, oltre la metà si trova in Germania, Austria e Svizzera[14].

Ma con il retrocedere della globalizzazione e l’accelerare dei cambiamenti tecnologici, tutte le economie si trovano ad affrontare strozzature nel trasformare queste idee in una crescita duratura della produttività.

Queste strozzature sono localizzate negli stessi tre ambiti che hanno rivestito importanza fondamentale per liberare il potenziale delle idee nel corso della storia: traduzione, diffusione e ambizione.

L’interrogativo che ci si pone è dunque: come possiamo rimuovere queste strozzature?

Rimuovere le strozzature

Traduzione

Inizierò dalla prima strozzatura, la traduzione.

Per tradurre nuove idee in progetti commerciabili, abbiamo bisogno di ecosistemi economici adatti ai requisiti specifici imposti dalle tecnologie odierne.

Servono sistemi finanziari che ci consentano di effettuare investimenti massicci in imprese innovative.

Settori come l’IA, ad esempio, presuppongono un capitale iniziale considerevole per sviluppare la potenza di calcolo e la capacità dei server. Secondo i leader industriali, il costo dell’addestramento di modelli di IA è destinato a decuplicarsi nel giro di un anno e potrebbe presto salire a 5-10 miliardi di dollari statunitensi[15].

Abbiamo bisogno di un accesso sicuro a un’ampia gamma di risorse naturali.

Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), l’addestramento di un modello di IA richiede da solo più elettricità di quella consumata da 100 famiglie statunitensi in un intero anno[16]. Con l’elettrificazione dei nostri sistemi di trasporto e gli investimenti nelle tecnologie energetiche rinnovabili, la domanda globale di elementi di terre rare potrebbe aumentare di tre-sette volte entro il 2040[17].

Tutte le nostre economie devono quindi adoperarsi per assicurare la realizzazione di questi ecosistemi. In Europa però ci troviamo di fronte a due sfide particolari.

In primo luogo, abbiamo un grande settore finanziario, sostenuto dagli elevati tassi di risparmio delle famiglie europee. Tuttavia, l’intermediazione si realizza principalmente attraverso il credito bancario piuttosto che i mercati dei capitali, dove sono emesse obbligazioni e azioni.

Il credito bancario funziona bene per le imprese affermate che sono esposte a un rischio relativamente basso e dispongono di abbondanti garanzie, come le nostre tradizionali imprese leader nel settore manifatturiero. Ma funziona meno bene per le imprese giovani ad alto rischio che in genere stimolano innovazioni radicali.

Le imprese innovative hanno bisogno di accedere a un ingente capitale di rischio; ciò presuppone un ampio settore di venture capitale in grado di finanziarle finché non si quotano in borsa. Tuttavia, la disponibilità di capitale di rischio è inferiore di circa dieci volte in Europa rispetto agli Stati Uniti[18] e, pertanto, anche le imprese che trovano fondi nella fase iniziale hanno meno sostegno quando entrano nella fase di crescita. In media un’impresa finanziata da venture capital riceve nell’UE un sostegno cinque volte inferiore rispetto a un’impresa analoga negli Stati Uniti durante il suo ciclo di vita[19].

Questo divario spesso implica che gli imprenditori europei devono andare all’estero per ottenere i finanziamenti di cui hanno bisogno, portando talvolta con sé le loro idee. Ed è una delle ragioni principali per cui, lo scorso anno, l’Europa ha investito solo 1,7 miliardi di dollari statunitensi nell’IA generativa, rispetto ai 23 miliardi di dollari in venture capital e private equity negli Stati Uniti[20].

In secondo luogo, non disponiamo di risorse naturali significative in Europa e quindi dipendiamo fortemente dalle importazioni[21]. Questa dipendenza ci rende vulnerabili in un mondo meno globalizzato e in un panorama geopolitico mutevole.

La brutale invasione russa dell’Ucraina, che ha provocato un’interruzione quasi completa delle forniture di gas all’Europa, rivela quale sia la posta in gioco. Anche se siamo riusciti a sostituire con successo le forniture russe, questo processo ha lasciato le nostre imprese in una situazione di notevole svantaggio in termini di costi.

Prima della pandemia i costi dell’elettricità per le imprese europee erano 1,7 volte superiori a quelli degli Stati Uniti e 1,2 volte superiori a quelli della Cina. Attualmente il divario è, rispettivamente, di 2,5 e di 2,3 volte.

In entrambi i casi, tuttavia, l’Europa sta studiano soluzioni per ovviare a questi vincoli. Come affermò presumibilmente Valéry Giscard d’Estaing, ex Presidente francese, “non abbiamo petrolio, ma abbiamo idee”.

Dove possiamo, ci adoperiamo per realizzare internamente gli ecosistemi di cui abbiamo bisogno. Solo la scorsa settimana i leader europei hanno deciso di portare avanti lo sviluppo dell’unione dei mercati dei capitali in Europa, con una grande attenzione al miglioramento delle condizioni delle opzioni di finanziamento delle imprese europee in fase di espansione (scale-up)[22].

Stiamo inoltre anticipando gli investimenti nelle energie rinnovabili, che in definitiva ci renderanno più indipendenti sul piano energetico, anche se questo processo richiederà tempo e bisogna essere realistici.

Nel frattempo, potremmo dovere dipendere ancor più dai paesi che dispongono delle risorse necessarie. Ad esempio, l’80% dell’offerta mondiale di metalli di terre rare proviene attualmente da tre paesi soltanto[23].

Ma stiamo anche collaborando con i nostri amici e alleati che devono far fronte a simili strozzature, come gli Stati Uniti, per diversificare l’offerta. Ad esempio, l’UE intende istituire un club per le materie prime critiche, invitando partner con interessi analoghi di sicurezza geopolitica ed economica a mettere in comune gli investimenti[24].

Diffusione

Una volta commercializzate, le idee vanno diffuse. La crescita a lungo termine non è trainata soltanto dall’innovazione delle imprese “superstar”, ma anche dall’ampia diffusione delle innovazioni nelle imprese meno produttive.

Storicamente, uno dei principali fattori della diffusione tecnologica è stato il libero scambio, soprattutto tra le nostre due economie. I dati indicano ad esempio uno scarto temporale di tre-quattro anni tra le innovazioni dell’economia statunitense e quelle dell’economia europea[25].

La ricerca suggerisce peraltro che la loro propagazione nelle economie avanzate ha subito un rallentamento negli ultimi decenni[26], mostrando un andamento in parte ascrivibile alla natura stessa dell’economia digitale, che tende a creare mercati caratterizzati da dinamiche di tipo “winner-takes-the most”[27].

Nel caso specifico dell’Europa, la lenta diffusione riflette anche il fatto che, a differenza degli Stati Uniti, non abbiamo ancora sfruttato appieno la portata insita nella nostra economia continentale.

In Europa abbiamo sviluppato un modello imprenditoriale che dipende insolitamente, almeno per una grande economia, dalla vendita ad altre economie di grandi dimensioni, anche per quanto riguarda i beni di investimento che consentono loro di sfruttare le loro dimensioni. Oltre un terzo del nostro PIL manifatturiero è assorbito da paesi al di fuori dell’UE, rispetto a circa un quarto nel caso della Cina e appena un quinto nel caso degli Stati Uniti[28].

Non abbiamo sfruttato appieno il peso delle nostre dimensioni al fine di incoraggiare le imprese ad adottare più tecnologia. Pur contando oltre 445 milioni di consumatori e 23 milioni di imprese[29], abbiamo un mercato interno che rimane frammentato, soprattutto in relazione ai servizi[30]. L’interscambio di servizi all’interno dell’UE ammonta soltanto a circa il 15% del PIL, contro il 50% rappresentato dai beni[31].

Questo potenziale non utilizzato ci costa molto in termini di minore crescita e incrementi di produttività. Secondo una stima, gli attriti commerciali che permangono nell’UE indicano che non stiamo sfruttando circa il 10% del PIL potenziale dell’UE[32].

E questo incide anche sulla nostra competitività. Stiamo ora osservando che altre grandi economie ricorrono alla combinazione di tecnologia e dimensioni per progredire più rapidamente nei settori chiave. Oggi la Cina potrebbe occupare una posizione leader in 37 delle 44 tecnologie critiche, tra cui batterie elettriche, ipersonica e comunicazioni avanzate ad alta frequenza quali 5G e 6G[33].

Anche l’Europa sta agendo su questo fronte per superare i propri vincoli. La settimana scorsa i leader europei hanno accolto con favore una nuova importante relazione sul mercato unico, in cui si chiedeva la rimozione degli ostacoli residui nella fornitura transfrontaliera di servizi e un cambiamento delle politiche che riflettesse il nuovo contesto geopolitico e competitivo[34].

Anche in questo caso, l’Europa e gli Stati Uniti condividono l’interesse a collaborare, soprattutto nell’assicurare condizioni di parità tra i paesi che rispettano le regole, agendo invece con fermezza laddove le norme sono violate per creare un vantaggio indebito[35].

In altre parole, non dovremmo competere in una corsa alle sovvenzioni tra le nostre economie, la quale costituisce un gioco a somma zero. Dovremmo invece fare in modo che il nostro peso collettivo nel commercio internazionale sia utilizzato per scoraggiare l’adozione di prassi anticoncorrenziali da parte di altri paesi, aumentando nel contempo il libero flusso di idee al nostro interno, in un gioco a somma positiva.

Ambizione

Saremo in grado di raggiungere tutti questi obiettivi? Dipenderà in ultima analisi dall’ambizione, la strozzatura finale da superare.

Negli ultimi anni la leadership ha avuto spesso natura reattiva: una condizione per certi versi comprensibile in un’epoca di “permacrisi”, caratterizzata dal rapido susseguirsi di shock quali la pandemia e lo scoppio della guerra.

Una leadership di questo tipo non è più sufficiente.

Le crisi hanno sempre più portata mondiale e richiedono livelli di coordinamento senza precedenti in diversi settori della società. Al tempo stesso, il mondo si muove in direzioni che rendono più difficile la cooperazione.

È pertanto necessaria una leadership proattiva, con cui definire il corso degli eventi anziché reagirvi semplicemente. Per farlo abbiamo bisogno di più ambizione.

La storia dell’Europa ci offre molti esempi di efficacia in tal senso. Negli anni ’50, segnati da carenze di offerta e razionamento, l’Europa ha iniziato a costruire catene di approvvigionamento comuni e ad associarsi nella fornitura di fattori di produzione quali il carbone e l’acciaio.

A metà degli anni ’80, quando si esaurì il potenziale di quello che era allora il suo mercato comune, l’Europa si fece strada creando un mercato unico e rafforzando la crescita.

Negli anni ’90, quando la volatilità dei tassi di cambio minacciava la stabilità delle nostre valute, rilanciammo la nostra unione monetaria per ancorare il mercato unico.

In tal modo, abbiamo conseguito quello che molti ritenevano impossibile e unito progressivamente un continente che era stato diviso da due guerre mondiali.

Guardando alle economie avanzate di oggi, sono certa che i nostri leader comprendano ciò che è loro richiesto. Negli Stati Uniti le leggi del Chips Act e dell’Inflation Reduction Act stanno accelerando l’adozione delle nuove tecnologie. Ho inoltre citato molte iniziative che sono in cantiere in Europa, senza contare quelle a cui non ho fatto riferimento in questa sede.

Guardando in particolare all’Europa, sono fiduciosa perché a differenza della grande crisi finanziaria sia i leader sia i cittadini convergono su ciò che occorre fare.

Siamo consapevoli di non poterci più permettere di considerarci un gruppo aperto di economie indipendenti. Questa prospettiva è superata in un mondo che si frammenta in blocchi geopolitici concentrati attorno alle maggiori economie. Sappiamo anche di dover iniziare a considerarci come un’unica grande economia con interessi prevalentemente condivisi.

Questo cambiamento di prospettiva richiede inoltre di unire le forze in più settori.

Ci troviamo di fronte a crescenti richieste di spesa derivanti dall’invecchiamento della popolazione, dalla transizione climatica e dall’evoluzione del contesto della sicurezza a cui saremo in grado di rispondere soltanto insieme. In caso contrario, dovremo compiere scelte difficili sul fronte del mantenimento del nostro modello sociale, della realizzazione delle nostre ambizioni in materia di clima e del nostro ruolo guida sulla scena mondiale.

Agendo come Unione per incrementare la crescita della produttività e mettendo in comune le nostre risorse in settori contraddistinti da una stretta convergenza di priorità, quali la difesa e la transizione ecologica, possiamo conseguire i risultati che ci prefiggiamo e al tempo stesso gestire la spesa in maniera efficiente, in modo da non dover compiere sacrifici su altri fronti.

E sebbene questo approccio possa richiedere l’abbattimento di alcuni tabù radicati, “nécessité fait loi”, come diremmo in francese, ossia occorre fare di necessità virtù.

I nostri cittadini sono consapevoli di questa realtà, anche in un contesto in cui il populismo è in aumento.

Dai sondaggi che si susseguono emerge la convinzione degli europei che l’azione comune sia la via migliore verso la prosperità e la sicurezza.

Oltre due terzi dei cittadini dell’UE ritengono che l’Unione sia un luogo di stabilità in un mondo tormentato[36], più di tre quarti sono favorevoli a una politica di difesa e di sicurezza comune[37] e otto su dieci concordano sul fatto che l’UE debba effettuare ingenti investimenti in settori quali le energie rinnovabili[38]. Nell’area dell’euro il favore di cui gode la moneta unica continua ad attestarsi su livelli prossimi ai massimi storici[39].

Sono pertanto certa che l’ambizione dei nostri responsabili delle politiche e la volontà dei cittadini siano allineate e che rimuoveremo le strozzature che ci impediscono di realizzare il nostro potenziale.

Conclusioni

L’economia mondiale si trova dinanzi a un punto di svolta, con nuove incertezze che si sostituiscono a vecchie realtà.

Nonostante tutti questi cambiamenti, alcune cose restano fermamente le stesse. È generando nuove idee e creando le condizioni perché queste possano diffondersi e prosperare nella nostra economia che si riesce a stimolare la crescita futura.

Per creare tali condizioni, l’Europa deve eliminare le principali strozzature all’innovazione in termini di traduzione, diffusione e ambizione. Non è un compito facile. Ma per troppo tempo abbiamo semplicemente discusso di questi problemi anziché risolverli con azioni concrete. Con le parole di Franklin, “ben fatto è meglio che ben detto”[40].

In definitiva, la scelta da compiere è semplice: rimuovere le strozzature o lasciare che queste arrestino il nostro cammino. Tenuto conto dell’urgenza, del sostegno all’azione e del consenso su ciò che l’Europa deve fare, so da quale parte stare. E sono certa che riusciremo nel nostro intento.

Grazie dell’attenzione.

  1. Franklin, B. (1725), “A Dissertation on Liberty and Necessity, Pleasure and Pain”.

  2. Manguel, A. (1997), A history of reading.

  3. Literacy rate, 1475 to 2022”, Our world in data.

  4. Literacy rate vs. GDP per capita, 2022”, Our world in data.

  5. Ferguson, N. (2008), The ascent of money: a financial history of the world.

  6. Per estensione, l’introduzione della società per azioni avrebbe agevolato ciò che alcuni storici dell’economia hanno definito la “grande divergenza” tra un’Europa dinamica e il resto del mondo. Una presentazione sintetica della grande divergenza, un concetto che ha stimolato il dibattito fra gli storici dell’economia, è reperibile in Allen, R.C. (2011), The great divergence, Oxford University Press.

  7. Per una recente trattazione di questo tema si rimanda a Lagarde, C. (2023), “Una svolta kantiana per l’unione dei mercati dei capitali”, intervento in occasione dello European Banking Congress, 17 novembre.

  8. Valutato ai prezzi del 1840. Cfr. Weiss, T. J. (1992), “U.S. Labor Force Estimates and Economic Growth, 1800-1860”, in R.E. Gallman e J.J. Wallis (a cura di), American Economic Growth and Standards of Living before the Civil War, Chicago University Press.

  9. Come indicato nel modello di crescita di Solow.

  10. McKinsey Digital (2023), “The economic potential of generative AI: The next productivity frontier”, 14 giugno.

  11. Commissione europea (2023), “Competitività a lungo termine dell’UE: prospettive oltre il 2030”, 16 marzo.

  12. Atomico (2023), “State of European Tech 23”.

  13. Commissione europea (2023), “AI Watch - Evolution of the EU market share of Robotics”, JRC Technical Reports, 14 aprile.

  14. Simon, H. (2012), Hidden Champions – Aufbruch nach Globalia: Die Erfolgsstrategien unbekannter Weltmarktführer, Campus Verlag, Francoforte/New York.

  15. The New York Times (2024), “Transcript: Ezra Klein Interviews Dario Amodei”, 12 aprile.

  16. AIE (2023), “Why AI and energy are the new power couple”, 2 novembre.

  17. AIE (2021), “The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions”, maggio.

  18. Capitale di rischio in percentuale del PIL. Cfr. BCE (2023), “The EU’s Open Strategic Autonomy from a central banking perspective – challenges to the monetary policy landscape from a changing geopolitical environment”, Occasional Paper Series, n. 311, Francoforte sul Meno, marzo.

  19. Fondo europeo per gli investimenti (2023), Scale-up financing gap, 12 settembre.

  20. McKinsey Global Institute (2024), “Accelerating Europe: Competitiveness for a new era”, 16 gennaio.

  21. Ad esempio, l’area dell’euro importa circa due terzi dell’energia, contro poco più di un quinto degli Stati Uniti.

  22. Conclusioni del Consiglio europeo, 17-18 aprile 2024.

  23. Cina, Sudafrica e Repubblica democratica del Congo. Cfr. Commissione europea (2020), “Study on the EU’s list of critical raw materials - Final report”.

  24. Consiglio dell’Unione europea, “Un regolamento dell’UE sulle materie prime critiche per il futuro delle catene di approvvigionamento dell’UE”.

  25. Fondo monetario internazionale (2015), “World Economic Outlook: Uneven Growth: Short-and Long Term Factors”, aprile.

  26. Calvino, F. e Criscuolo, C. (2022), “Gone digital: Technology diffusion in the digital era”, Brookings Institution, 20 gennaio.

  27. Schnabel, I. (2024), “From laggard to leader? Closing the euro area’s technology gap”, intervento in occasione dell’inaugurazione dell’EMU Lab, 16 febbraio.

  28. BCE (2023), op. cit.

  29. Consiglio dell’Unione europea, “Mercato unico dell’UE”.

  30. Circa il 70%.

  31. Schnabel, I. (2024), “From laggard to leader? Closing the euro area’s technology gap”, intervento in occasione dell’inaugurazione dell’EMU Lab presso l’Istituto universitario europeo, 16 febbraio.

  32. in ‘t Veld, J. (2019), “Quantifying the Economic Effects of the Single Market in a Structural Macromodel”, Discussion Paper Series, n. 94, Commissione europea, febbraio.

  33. Australian Strategic Policy Institute (2023), “ASPI’s Critical Technology Tracker - The global race for future power”, 22 settembre.

  34. Conclusioni del Consiglio europeo, op. cit.

  35. Commissione europea (2023), “La Commissione avvia un’inchiesta sulle auto elettriche cinesi sovvenzionate”, 4 ottobre.

  36. Eurobarometro (2023), “Standard Eurobarometer 100 - Autumn 2023”.

  37. Eurobarometro (2023), “Standard Eurobarometer 99 - Spring 2023”.

  38. Eurobarometro (2023), “Standard Eurobarometer 100 - Autumn 2023”.

  39. Eurobarometro (2023), “The euro area”.

  40. Franklin, B. (1737), “Poor Richard’s Almanack”.

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